CHIAMATEMI DOLORES

 MEMORIE D'UNA LEBBROSA
a cura di CELESTINO TESTORE S. J.
Editrice MISSIONI - Fondamenta Nuove 4885 - VENEZIA
Con approvazione ecclesiastica


Questo racconto storico, in cui non si parla che di sventure, ha commosso tante anime e ha consolato tante persone che soffrivano più di te. Leggi: poi la tua croce ti sembrerà meno pesante.


L'origine di questo racconto

Stavo entrando, per portare il santo Viatico, nella stamberga d'una lebbrosa. Alla mia comparsa la vecchia che l'assisteva cadde in ginocchio adorando il Signore; la giovane malata diede un sospiro di tenerezza indescrivibile e balbettò:
- Grazie, Gesù mio. Come ho io meritato questa felicità?..
Compiuto il rito degli ultimi sacramenti, e fatta la raccomandazione dell'anima. la povera moribonda mi fece segno di voler domandare qualche cosa.
- Parla, figlia mia - le dissi.
- Una prima domanda, Padre: Lei è Salesiano?
- No. Non ho questo onore. lo sono sacerdote di una diocesi lontana, venuto ad Agua de Dios per visitare un mio amico ammalato. Siccome il cappellano non poteva venire a quest'ora, ha pregato me di venire a consolarti, e io mi sono prestato ben volentieri a sostituirlo. Posso esserti utile in qualche cosa?
- Padre, ho un dubbio da esporLe. Ho qui alcuni fogli nei quali ho descritto le mie vicende. Non hanno alcun valore letterario; penso tuttavia che potrebbero fare del bene e consolare qualcuno. Però sono esitante: chi sono io per pretendere di far sentire la mia voce al mondo? Vorrei che il mio nome scendesse nella tomba con questo corpo, che andrà presto in sfacelo; ma ho scrupolo a bruciare questi miei scritti. D'altra parte, siccome vi si fanno gli elogi di quegli ammirabili apostoli che sono i figli di Don Bosco, temo che essi non vogliano pubblicare un documento che potrebbe ferire un poco la loro umiltà.
- Capisco, figliola. Ma la mia risposta è categorica: tu devi lasciare questi fogli in eredità al tuo prossimo. Essi passeranno dalle mie mani alle mani di coloro che soffrono e sono certo che serviranno davvero a consolare quelli che piangono.
- Allora eccoli, Padre. Faccia di queste pagine quello che vuole. Se pensa che non siano degne di essere lette da altri, La prego di bruciarle. E mi dia la Sua benedizione.
Così dicendo, trasse di sotto il capezzale alcuni fogli ingialliti, li baciò con un gesto di profondo amore, e porgendomeli esclamò:
- Mio Dio, concedi a questi ricordi l'efficacia che tu sai. Io voglio fare del bene ai miei fratelli lebbrosi, e se è possibile a tutti quelli che soffrono e sono tristi...
Due ore dopo, la campana del villaggio, con mesti rintocchi, annunciava la morte di Dolores.
I fogli lasciatimi portavano questo titolo: Memorie di una lebbrosa. Ed ora, sapendo come questa commovente storia è giunta fino a lui, il lettore è in grado di comprenderla e di apprezzarla di più.

                                                                                   UN MISSIONARIO della Colombia

CHIAMATEMI DOLORES

Il mio nome...

Il mio nome non è Dolores, ma Noemi. Venni al mondo nel 1870, in una grande città del Quindio, nel dipartimento del Cauca (Colombia). Avevo dodici anni quando mio padre mi fece entrare in un collegio di Medellin, dove rimasi fino ai diciassette. Allora, giudicando che la mia educazione fosse compiuta, egli venne a prendermi e mi riportò dalla mamma.
Appena due anni dopo mi comparvero sulle mani e sul viso delle macchie preoccupanti; e siccome sopravvennero anche periodi di febbre e una strana debolezza, fu chiamato un distinto medico di Cartago. Questi - come io venni a sapere più tardi - disse allora con molta cautela a mio padre che probabilmente si trattava di lebbra, e che ad ogni modo era necessario sottopormi ad un esame legale se quei sintomi non scomparivano con i rimedi da lui indicati e con un cambiamento di clima.
Il babbo, stretto da una segreta angoscia, decise di trasferire la famiglia nella valle del Cauca e di fare tutti gli sforzi possibili per salvarmi dal terribile male che mi minacciava. Ma non confidava le sue pene e le sue decisioni nè a me, nè a mia madre, nè ad alcuno dei miei sette fratelli.
Intanto la malattia faceva progressi: le macchie scomparvero, ma una infiammazione alle braccia, la contrazione delle dita delle mani e dei piedi, e la lenta caduta delle sopracciglia, non lasciavano più alcun dubbio sulla terribile realtà. E tuttavia io non me ne rendevo conto.
Le autorità, avvisate dai medici, ordinarono a mio padre di isolarmi; ma egli, non sentendosi il coraggio di comunicare la terribile notizia alla famiglia, ne affidò l'ingrato incarico al nostro curato, persona molto prudente e pia.
Ciò che questi disse a mia madre non lo so; ma ricordo molto bene le ultime parole che disse a me. Dopo avermi parlato dei dolori e delle angosce del Cuore adorabile di Gesù, e del valore che hanno le sofferenze di un'anima rassegnata, soggiunse:
- Sai che il Sacro Cuore ha bisogno di vittime?
- Che intende dire, Padre mio?
- E' certo che il Signore desidera ardentemente di trovare delle anime generose, che vogliano soffrire per Lui e con Lui. Tu non vorresti essere di queste?
- Penso che queste cose sono per le anime sante. Io invece sono cosi debole!...
- Ma Gesù ti darà la forza: non ti manderà mai una pena che tu non possa sopportare.
- E allora, che cosa devo fare per Lui?
- Potrai offrirti vittima, in unione con il Divin Cuore di Gesù. In questi giorni, che precedono la sua festa, medita sull'agonia di Gesù nel Getsemani, sul sacrificio della Croce e sulla generosità con la quale Egli si offre ogni giorno sull'altare, vittima per i peccati del mondo.
Il buon sacerdote aggiunse ancora altre riflessioni; e per quella volta si congedò.
Io compii con fervore quanto mi aveva suggerito, come se si trattasse di una pia pratica ordinaria, senza il minimo sospetto di ciò che essa voleva significare. Ma quando, otto giorni dopo, in confessione, il sacerdote insistette perchè mi offrissi vittima al Cuore di Gesù, e perchè Gli domandassi forza e coraggio per soffrire molto per Lui, incominciai a sospettare qualche cosa.
Quel giorno stesso ricevevo la lettera di Alvaro, un giovane molto buono, che mi amava teneramente e che fin dall'adolescenza era stato l'ideale della mia vita. Egli mi avvertiva che sarebbe venuto subito al villaggio dove io abitavo con la famiglia, e nello stesso tempo mi chiedeva se c'era qualche impedimento alla nostra unione.
Quella domanda mi fece molta meraviglia. L'unione delle nostre anime non era già un impegno? I nostri stessi genitori non benedicevano forse il nostro amore come prima?

 Sono lebbrosa!

Quella notte i più tristi presentimenti mi impedirono di dormire. Avevo notato delle cose strane in casa;
l'infiammazione alle braccia diventava sempre più preoccupante, e sempre più visibile si faceva la contrazione delle dita; la mamma da qualche giorno evitava di parlarmi nell'intimità; anzi, una sera, avendo io accennato ad una famiglia di lebbrosi che erano passati per Agua de Dios (il villaggio dove i lebbrosi della Colombia vengono confinati in un lazzaretto), essa si ritirò a piangere da sola. Strano!
Nella mia insonnia rivedevo ogni fatto e ogni accenno: le ombre di tristezza sul volto di mio padre, le conversazioni segrete con il curato, la lettera del primo dottore che mi aveva visitata, le parole del sacerdote:
"Il Sacro Cuore ha bisogno di vittime... ", e la lettera di Alvaro. Tutte queste cose s'illuminavano, allora della tetra luce dei miei presentimenti.
Fattosi giorno, andai subito, inquieta ed angosciata, dal mio confessore; gli manifestai i miei sospetti e gli chiesi spiegazione, luce, conforto... Egli si mise a singhiozzare. Capivo che temeva di parlare. Finalmente mi disse:
- Figlia mia, preparati a soffrire una dura prova che ti manda Nostro Signore. Ma abbi fiducia: il Cuore di Gesù, che ti ha accettata come vittima, sarà con te e ti sosterrà...
- Comprendo, Padre; comprendo tutta. Sono lebbrosa: non è vero?
Scoppiai in pianto, e i singhiozzi soffocarono la mia voce. Il sacerdote durò fatica a consolarmi un poco.
- Va'! - disse alla fine. - Va' ai piedi del tabernacolo; prega il Cuore di Gesù che ti dia la forza necessaria in questa dura prova; offriti generosamente a Lui; ricorda le angosce del Redentore nel Giardino degli Olivi; e, nonostante le ribellioni della carne, diGli che lo spirito è pronto.
Oh, quelle ore di preghiera! Mio Dio, che io senta per tutta la vita quello che ho sentito allora! Quanto sei buono, Signore! Sono passati quasi vent'anni da quel giorno, e tuttavia, ricordandolo, io mi sento ancora le lacrime scendere giù, fino a bagnare questi fogli.
Che cosa mi disse Gesù in quella preghiera, nella quale per la durata di tre ore io rimasi tutta assorta, senza avvedermi di quanta accadeva attorno a me, senza accorgermi neppure che all'altare si distribuiva la Comunione?.. Che cosa mi disse? Non lo posso esprimere. Questa però posso dire: dopo, una lunga agonia, in una lotta a corpo a corpo con il dolore della separazione, la tristezza della mia sorte, la pena dei miei genitori, la rovina del mio futuro focolare, l'avvenire oscuro dei miei fratelli e anche l'onore del mondo, che io, stimavo compromesso per sempre dalla mia disgrazia, quando mi trovai sul punto di naufragare in un mare di disperazione, Tu, mio dolce Signore, sorgesti e ordinasti al mare:
"Taci! ". E ai venti: "Calmatevi! ".
La mia anima allora si fece serena; ascoltò la tua parola di pace e di rassegnazione, la parola di forza e di vittoria, di sacrificio e di santità, la tua parola di gloria e la promessa delle ricompense immortali. Quale migliore ricompensa, infatti, e quale gloria più bella di quella di essere simile a Te, di soffrire per Te, d'essere vittima con Te per la salute delle anime, per la salvezza dei miei fratelli?

"Lascia la tua casa!"

L'ora della partenza s'avvicinava. I miei fratelli maggiori non si sentirono il coraggio di salutarmi: erano fuggiti la sera innanzi a nascondere il loro dolore in una cascina lontana. I cinque più piccoli non facevano che piangere; l'ultimo soprattutto, il mio caro Luigino, il più tenero verso di me, quello che avevo io stessa allevato con tenerezza materna, non si dava pace...
Mio Dio! Ma perchè rievocare ora questi dolorosi ricordi? O è forse un nuovo sacrificio che Tu domandi alla tua vittima, rendendoglieli presenti? E tu, mio povero cuore, hai potuto sopportare l'urto violento di tante disgrazie accanite contro di te?
La mamma, che in trenta giorni pareva invecchiata di trent'anni, era pallida, livida. Preparò fin nelle più minute particolarità il mio viaggio; ma quando io fui a cavallo, la mia povera e cara mamma sentì che il mare del suo dolore straripava, e stringendomi tra le braccia, come folle, e trascinandomi verso la sua camera, gridava:
- Non me la porteranno via! No, non me la porteranno via!
Dovetti strapparmi dalle sue braccia e, bruciante di febbre, convulsa, stordita, uscii di corsa dalla casa, rimontai a cavallo e mi allontanai in fretta, seguita da mio padre. E via di galoppo, come pazzi, tanto che in meno di dieci minuti avevamo perduto di vista il villaggio. Addio, addio per sempre, mia cara casetta che non rivedrò mai più!...
- Figlia mia, io muoio, muoio! - gridò mio padre quando ci fermammo per riprendere fiato.
- Papà! - risposi. - Dio ci assisterà. E' stato Lui a disporre le cose cosi. Coraggio, via!
 - Ah, se io potessi almeno restare con te ad Agua de Dios!... Ma, lo vedi: cinque piccoli da allevare, tua madre malaticcia, la nostra fortuna incerta e pericolante.
 - Ma, per amore di Dio, papà: dimentica ora tutte queste cose. Non tormentare inutilmente te stesso e anche me. Dio non ci abbandonerà; Egli è Padre provvido, e ci assisterà sempre.
Rimanemmo così in un lungo silenzio doloroso. Vennero allora, a rinfrescarmi le tempie accese dall'ardore della febbre, e dilatare i miei polmoni, le brezze aromatiche del Cauca; e potei finalmente pregare. Pregando, sentii il Signore vicinissimo a me, con me. Egli si degnò di consolarmi durante quella comunione spirituale in cui il mio cuore, a contatto con il suo Cuore adorabile, si senti infiammato; e mi parve che nel mio intimo vibrassero dalle sue labbra queste parole: "Vittima con me! ". Oh, quanto è dolce anche il dolore quando Gesù fa sentire la sua presenza divina!
Mio padre, credendomi sommersa in un abisso di angosce, accostò il suo cavallo e, mettendosi al mio fianco, disse, cercando di dissimulare la commozione:
- Andiamo. Non lasciarti assorbire dai tuoi pensieri. Godiamo la freschezza di questo mattino, così bello, e la vista di questa vallata incantevole...
- Grazie, babbo. Ma sapessi quanto sono calma! La limpida corrente del fiume, il profumo dei tamarindi, il verde di questi poggi, mi arrecano una felicità deliziosa. Ma, soprattutto, io prego; la preghiera conforta e ridà energie celesti.
- Che! Mi diventi poetessa, adesso?!
- Papà: ci sono delle ore nelle quali è impossibile non sentirsi poeti. E appunto in questo momento la poesia mi solleva. E quanto sovrumana è questa poesia che mi fa amare il dolore! Lo considero per me come una specie di tesoro, gelosamente. Concedimi, ti prego, una cosa a cui stavo pensando proprio adesso.
- Ma tutto quello che vuoi. Di che si tratta?
- Ho sentito da un predicatore che la Noemi della Bibbia (cfr. Ruth, I, 20), quella di cui porto il nome, nella sua desolazione soleva dire: "Non chiamatemi Noemi, cioè bella; chiamatemi Mara, che significa addolorata, amara, perchè l'Onnipotente mi colma di amarezza". Ebbene, papà: io non vorrei più chiamarmi Noemi, ma Dolores.
- Sia pure, mia cara, mia dolce Dolores. E i dolori del tuo esilio siano la sorgente della tua felicità ineffabile nella patria eterna.

"Verso il Lazzaretto"

Viaggiammo per giorni e giorni. Eccoci finalmente a Girardot. Ancora tre ore, e saremmo arrivati al lazzaretto, meta del nostro viaggio. Ma siccome il calore era soffocante e ci sentivamo molto stanchi, decidemmo di passare la notte in un albergo del posto.
Che notte, mio Dio! Ci eravamo ritirati senza aver potuto prendere alcun cibo; e mio padre, dopo la recita del Rosario, dormiva profondamente, mentre io, in un altro angolo della camera poco spaziosa, cercavo invano di prendere sonno.
Una famiglia di Bogotà, diretta verso il sud di Tolima, occupava una camera attigua, e non cessò di fare chiasso fin oltre la mezzanotte. Ma quello che mi ferì maggiormente e m'impedì di dormire fu ciò che quella famiglia riferiva intorno ad Agua de Dios: avevano fatto una piccola digressione al lazzaretto, per pura curiosità- diceva colei che sembrava la madre di famiglia - e avevano osservato con orrore quei relitti umani che si trascinavano per le vie come cadaveri ambulanti. Non ne avevano potuto sopportare la vista e il fetore; ed erano corsi via senza neppure voltarsi indietro, fino a Girardot. Una sonora risata fu la conclusione dell'orribile racconto, di cui giungevano fino a me distintamente i particolari, attraverso la sottile parete della stanza.
Allora io mi misi a singhiozzare, afflitta e indignata nello stesso tempo. Scusai quella mancanza di senso umano, e pregai il Signore di non punire quella volgare mancanza di carità verso i disgraziati, quell'orrore che le persone mondane mostrano verso le membra malate di Gesù Cristo. E feci questa riflessione: "Mio Dio, quello che hanno detto è frutto di esagerazione, oppure è la realtà? E io, dove vado a finire io, allora? Dovrò proprio vivere in questa regione fatale, dove si trascinano per le vie spaventosi relitti umani? E per sempre? E mio padre ritornerà via, lasciandomi sola?.."
A queste riflessioni, il ricordo delle tenerezze materne, della bontà di Alvaro, dei miei fratelli, di tutte le mie sventure, mi assali d'un tratto. si impossessò di me e mi oppresse. Suonarono le due, e altro non sentivo, nella quiete della notte incombente, se non i miei singhiozzi a stento repressi.
Il calore era soffocante, la debolezza mi schiantava, l'insonnia mi faceva disperare. Avrei voluto rinfrescarmi un momento, fuori, immergendomi nel fiume Maddalena, ma come fare ad uscire da sola? E come avrei osato svegliare mio padre? Continuai a piangere silenziosamente, tutta sola con il mio Dio, fino alle cinque del mattino, quando il babbo si svegliò.
Prima di partire volli ricevere la Comunione. Durante il viaggio l'avevo fatta una volta sola. Cercammo dunque una chiesa, e fummo fortunati: la trovammo presto, e proprio quando noi entravamo cominciava la Messa. Ebbi cosi la consolazione di ricevere ancora una volta il Consolatore della mia anima, a cui manifestai tutto ciò che in quella notte mi aveva afflitta e aveva turbato i miei pensieri. Versai nel suo Cuore le lacrime della mia amarezza.
Provai i medesimi sentimenti del giorno in cui mi era stato rivelato il mio male e avevo saputo che ero lebbrosa, i medesimi spasimi di dolore, e poi la medesima pace soave, causata dalla presenza dello Sposo Divino, che placava i flutti del mio spirito agitato e fortificava la mia debolezza. E ancora una volta intesi dentro di me questo richiamo: "Il Cuore di Gesù ha bisogno di vittime che riparino i mali del mondo..."
Dopo la Comunione mi rialzai molto debole, spossata, ma intimamente confortata da un'energia sovrumana. E ci rimettemmo in viaggio.
Le prime case di Agua de Dios apparvero al nostro sguardo verso le dieci del mattino. A quella vista io mi commossi tutta, e il babbo mi passò davanti per poter nascondere le sue lacrime.
Oh, come fu triste il nostro ingresso ad Agua de Dios! Com'era diversa allora quella città, che si mostra ora cosi ampia, cosi lieta e adorna di boschi! Ma, anche se avessi trovato un paradiso, che cosa ne sarebbe venuto a me? E' forse la tristezza del luogo quella che può renderci infelici? Ci voleva ben altro che un bel panorama, allora, per rimediare alla mia situazione!
Purchè avessi potuto avere con me i miei cari, sarei stata felice anche in mezzo ad un orribile deserto; ma, rimasta sola, tutte le bellezze della natura e tutte le raffinatezze della società non sarebbero bastate a farmi dimenticare le mie sventure; anzi, ciò che parlava di bellezza e di felicità, per un richiamo di contrasti, m'era quasi motivo di tormento.
Oggi tutto mi è indifferente; non tengo che a Gesù e non vorrei uscire da questo lazzaretto, perchè mi sembra che altrove non sarei più così vicina al mio Salvatore. Agua de Dios non è più una prigione per me, ma piuttosto la mia reggia, perchè qui è il regno del dolore; e io ormai ho bisogno del dolore, non ne posso far senza. Oh, mio Dio! Se è cosi dolce soffrire per Te, che cosa sarà il godere di Te? E se oggi, ricordandomi dell'ora in cui mi conducesti in questo luogo, che consideravo come una prigione, Ti benedico, quale sarà la mia gioia e il mio canto di lode quando entrerò nelle dimore della tua gloria immortale? Oh, venga pure presto, questo momento tanto ardentemente desiderato! Abbrevia, mio Signore, questa dilazione cosi lunga, e mandami la morte, così leggera che non la senta venire, per timore che mi si restituisca la vita, tanto è il desiderio di morire...

"Addio, povero babbo!"

Ma bisogna che io prosegua con i miei ricordi.
Ad Agua de Dios fui accolta in una famiglia che si incaricò della mia cura. I genitori erano in età avanzata, con cinque figlie e due figli, tutti lebbrosi tranne il padre e una delle figlie.
Mio padre credette bene non preavvisarmi del momento del suo ritorno. La mattina del quarto giorno, tornando dalla Comunione, trovai vuota la camera dov'egli era alloggiato, e sul tavolo un biglietto, brevissimo e pieno di amarezza:
"Figlia del mio cuore, non ho il coraggio di dirti addio. Parto con il cuore stroncato. Solo il dovere di prendermi cura di tua madre e dei tuoi fratelli mi può strappare da te. Porto con me, come unica consolazione, la certezza che tu sarai rassegnata. Questa signora che ti ha ospitato, così buona, sarà per te un'altra mamma, e le sue figliole altrettante sorelle. Figlia mia, vita dell'anima mia, io ritornerò alla fine dell'anno, e ti condurrò Luigino: e l'anno prossimo, potendo, verrà tua madre. Ora ti lascio. Perdonami ma non ne posso più. Addio. Il Signore ti assista, ti conforti e ti benedica, come anch'io ti benedico. Tuo padre ".
Eccomi sola! Del tutto sola! Che cos'erano per me tutti gli amici e tutte le loro attenzioni? Mi parve che il mondo intero crollasse addosso al mio cuore desolato. Sola, e per sempre!...
E invece no: io m'ingannavo. Perdonami. mio Dio. Non avevo ancora compreso che quando si è con Te non si è mai so1i.
Dopo aver pagato alla tristezza il mio tributo di lacrime, dissi a me stessa: "No, io non sono sola, perchè sono sempre con il mio Dio. Non dovrò neppure star qui per sempre, perchè il tempo passa; non è questa la vera vita... ".
Tuttavia continuavano ad addensarsi sopra di me delle grandi nubi fosche, e la lotta fra lo spirito fortificato dalla fede e questa misera natura ricominciava.
E prima della vittoria ci furono altre lotte. Infatti, prima che fosse trascorso un mese dal mio arrivo al lazzareto, venne a trovarmi un venerando Padre Salesiano, uno di quei benedetti protettori dei poveri e degli abbandonati, il quale, dopo aver parlato di argomenti edificanti con tutta la famiglia, rivoltosi a me, disse:
- Sai che tuo padre è un po' ammalato a Cartago?
Rimasi meravigliata che una notizia di quel genere fosse stata comunicata ad altri prima che a me; e, pensando già a qualche cosa di grave, risposi:
- Non ne so proprio nulla, Padre. Ma il babbo non è arrivato al termine del suo viaggio?
- No: si è dovuto fermare a Cartago. Aspettiamo ora notizie più precise.
Tremavo tutta, ma capii che sarebbe stata indiscrezione chiedere di più in quel momento. Il giorno dopo invece supplicai il Padre di dirmi tutto quello che sapeva. Vedendolo piuttosto riservato, i miei sospetti aumentarono. Ma insistetti, ed egli finalmente mi disse che mio padre, nel viaggio di ritorno, per un disgraziato incidente, era caduto nel fiume ed era annegato poco prima. di raggiungere la famiglia.
Se mai qualcuno leggerà queste mie memorie, s'immagini per un momento di trovarsi nella mia situazione, e ricordi che ha o ha avuto un padre...
Ed io che pensavo alla gioia della mamma e dei fratelli all'arrivo del babbo, quando egli avrebbe descritto loro il nostro viaggio e quando avrebbe parlato loro del mio alloggio e della mia rassegnazione, vidi tutto oscurarsi d'improvviso.
E pensavo all' attesa angosciosa, disperata, di quelli di casa mia, quando i giorni passavano e non giungeva notizia. Ed ecco una famiglia piombata nel lutto. Mi pareva quasi di sentire i pianti dei miei cari; l'eco dei loro lamenti giungeva fino a me e si confondeva con i miei gemiti.
Perchè, Signore, non hai portato via anche me allora, come Te ne avevo pregato tante volte, al luogo del riposo eterno e delle gioie senza lutti? Ah, Tu vuoi delle vittime; e questa povera peccatrice, da Te scelta al martirio delle membra e del cuore, è una di esse, ed è necessario che essa compia tutto il lungo cammino che Tu le hai prefisso su per l'erta del Calvario.

Infranto l'ultimo sogno

Per più di due anni non ho potuto scrivere nemmeno una riga, perchè sono stata duramente provata da lunghi periodi di febbri nervose, manifestazione particolare del mio male; e inoltre si sono moltiplicate le piaghe che mi vanno devastando le membra. Molte volte ho avuto anche l'idea di distruggere queste pagine. A che serviranno? Ma, anche se non dovessero servire a nessuno, sono per me un'occupazione utile e confortante, perchè io rievocando ciascuna delle mie pene benedico Dio e lo ringrazio; e poi, rileggendole nelle ore di desolazione, la mia riconoscenza diventa sempre più viva. Io credo di glorificare il Padre celeste ricordando i suoi favori: e tutte le mie pene sono autentici favori di Dio.
Oggi il mio corpo è tutto uno strazio: il mio aspetto è mostruoso; la lebbra mi ha devastata. Credo che la mia cara mamma, se mi vedesse, non mi riconoscerebbe più. La mia debolezza è cosi grande che spesso mi sento incapace di percorrere la poca strada che mi separa dalla chiesa.
Ma, grazie a Dio, il mio amore alla sofferenza è cosi grande che le giornate in cui non si aggiunge qualche pena al mio tormento mi sembrano perdute. E quanto devo io al santo figlio di Don Bosco, che ha irrobustito la mia anima con i suoi prudenti consigli e con il suo spirito soprannaturale!
Le notizie che mi giungevano intorno alla salute di mia madre erano sempre più dolorose. Mi fu comunicato pure che la situazione economica della mia famiglia precipitava verso la rovina. Di Alvaro non un cenno. Confesso che al tempo di cui parlo mi restava ancora qualche speranza riguardo ad Alvaro: nei miei sogni mi illudevo che la mia guarigione fosse ancora possibile e che, nonostante tutto, egli un bel giorno sarebbe venuto a trovarmi e mi avrebbe detto che era ancora disposto ad unire la sua sorte alla mia. Folle speranza l
Un giorno ricevetti da mio fratello maggiore una lettera, datata dal mio paese natale, in cui i miei cari erano tornati ad abitare. La riporto qui, senza omettere nulla delle notizie dolorose che conteneva.
"Mia cara sorella, non posso più tacere. Avrei già dovuto parlarti chiaro da qualche mese; mi sono dimostrato crudele verso di te e verso tutti: perdonami. Domanda coraggio al Signore, e ascoltami senza disperare. La mamma è in condizioni allarmanti: i medici non hanno più speranza di salvarla. Quello che restava dei nostri averi è scomparso nella rovina d'un affare disastroso. Luigino è impazzito, e spesso è addirittura furioso: abbiamo dovuto metterlo in una casa di cura; ma alla mamma abbiamo tenuto nascosto tutto questo: non resisterebbe al dolore di queste notizie. Di Alvaro non ti abbiamo mai detto nulla: ebbene sappi che poco dopo la tua partenza s'è dato al bere, ed ora è precipitato in tanta abiezione che è il disonore dei suoi e lo scandalo della città. Poichè tu sei buona e ti accosti così spesso alla Comunione, prega per tutti, anche per me, perchè Iddio rianimi la mia fede, che incomincia a spegnersi. Tu sii più forte di me, e Dio ci assista. Ti saluta caramente il tuo fratello Marco ".
Qualche settimana più tardi, la padrona di casa, dopo avermi preparata alla notizia con molta carità e prudenza, mi annunciò che mia madre era morta, e che Luigino aveva perso interamente l'uso delle facoltà mentali ed era stato ricoverato nel manicomio di Medellin.
Cercai allora un po' di conforto fra le braccia di una Suora della Carità, la quale, più caritatevole che mai, mi fu prodiga di tutte le tenerezze e mi condusse nella cappella. Là, indicandomi la immagine della Madonna, mi disse:
- Ecco, ora, la tua unica mamma. Guardala! Essa ti sarà sempre madre nel significato più profondo della parola. Gettati nelle sue braccia e rinnova la tua consacrazione a Lei e al suo Divin Figlio.
Amabile e santa Suora! Quanto conforto mi recò la sua comprensione e la sua carità in quei momenti! Ora è morta. Il Signore l' avrà ricompensata nella sua gloria. Quel suo richiamarmi alle sorgenti della grazia e di ogni consolazione, allora, mi fu di grande aiuto. Ma come potrei descrivere ciò che avvenne in me in quell'istante? Quello fu il momento della mia conversione totale, se mai mi rivolsi interamente a Te, mio Dio e mio unico bene.
Mi sentii come stringere fra le braccia della Vergine Immacolata, senza poter ripetere altro che un grido: "Mamma, mamma!... ". E assaporando lungamente questa parola gustai una dolcezza infinita, che superava tutte le gioie provate nella mia vita. Compresi allora (ma non saprei dire come) che la mia Madre celeste mi presentava al suo Divino Figliolo e gli diceva:
- Ecco la vittima del tuo amore. Essa vuole consacrarsi a Te, interamente e per sempre. Non è vero, figlia mia?
- Sì - risposi con tutta l'energia dell'anima.
- Voglio essere tua, Signore, e dimenticare ogni creatura. Ormai il mondo non esiste più per me.
Mi trovai quindi in un eccesso di fervore, quale in seguito non sperimentai più se non due o tre altre volte. Non pretendo di aver avuta alcuna rivelazione; capisco che tutto questo potrebbe forse essere stato una semplice illusione della mia fantasia eccitata, e invenzione del mio cuore commosso dal dolore e dalla tenerezza. Ma che felice e santa illusione! Slanci cari e deliziosi! La grazia s'impossessò di tutto il mio essere; sentivo il mio Cuore unito a quello di Gesù; le sue spine ferivano il mio; le sue piaghe mi procuravano una delizia infinita, e l'amaro tormento delle mie pene diventava un fiume traboccante di dolcezza e di pace.
Da quel momento, anche quando piango, le mie lacrime scendono dolcemente per le guance, e nessun disgusto riesce più a turbare la mia pace e il mio raccoglimento. Il mio amore e la mia riconoscenza verso lo Sposo divino, che mi ha scelto per vittima, vanno crescendo di giorno in giorno.
Certo, soffro e piango; ma nello stesso tempo la mia felicità di poter unire la mia volontà alla volontà di Dio, di poter dire " si" quand'Egli dice " fiat", e "no" quand'Egli non vuole, è cosi grande che il dolore è superato dal piacere. Grazie a Dio, posso dire che le torture sono per me dolcezza, le ore di sofferenza rapimenti d'amore, le croci consolazioni del cielo.

"Eccomi, Signore"

Un giorno, assistendo ai funerali di una mia amica, pensai molto alla morte e, avendone ricavato grande profitto, ebbi un' idea strana: quella di procurarmi e tenere presso di me la cassa che un giorno avrebbe servito per la mia sepoltura. Perciò la sera pregai una compagna di venire con me per una compera, ed entrai in una falegnameria.
- Avete casse da morto?
- Oh, c'è un morto? - domandò l'operaio alzando verso di me i suoi malinconici occhi di lebbroso.
- No, signore; ma la persona per la quale domando la cassa, certamente morirà.
- Bella novità! Ma chi è questo stravagante?
- Colei che vi parla.
- Eh?!...
- Vi meravigliate, signore?
- No. lo non mi meraviglio più di niente. Solo ammiro il sangue freddo di cui date prova. Voi desiderate proprio una cassa? Di pronte non ce ne sono.
- Fatene dunque una, su misura, semplice, nera, nerissima. E sul coperchio mettete, dipinte in bianco, le mie iniziali: D. N. V.
- Perchè quell'N? - chiese sommessamente la mia compagna.
- Non sapevi che mi chiamo Dolores Noemi?
Qualche giorno dopo, la mia povera camera s'adornava d'un mobile singolare: la cassa della mia sepoltura. Vi dormii dentro parecchie volte e, certo, guardandola e baciandola, provo un grande sollievo alle mie pene.
Le mie pene! Se potessi descrivere tutte quelle che il Maestro amatissimo si è degnato di accumulare nel mio spirito, dovrei raccontare i fatti della mia vita giorno per giorno, e quasi ora per ora, poichè da quando mi sono consacrata interamente a Lui posso dire come Noemi:
"Chiamatemi Mara, perchè l'Onnipotente mi ha colmata di dolori.".
Sia benedetto Colui che si degnò si scegliermi e si compiace di offrire alla sua vittima le rose più belle ma anche le spine della sua corona.

In una capanna

La separazione dalla famiglia, nella quale ero vissuta per quattordici anni, fu una nuova angoscia per me. La cosa avvenne per piccoli malintesi aggravati dalle dicerie della gente. A poco a poco la mia situazione in quella famiglia si fece insostenibile, e finalmente un giorno, proprio il primo venerdì del mese, a causa di non so quale disgusto, del quale fui ritenuta responsabile, la padrona di casa mi disse chiaro e netto che io ero diventata il disturbo di tutta la casa e l'uccello di malaugurio.
- Se è così, signora - le risposi - mi pare che lei mi vedrebbe volentieri andare fuori dei piedi.
- Questo è appunto quello che desidero da lungo tempo - rispose incollerita. - E mi meraviglio che lei non l'abbia capito anche prima d'ora.
Mio Dio, Tu sai quanto il mio amor proprio si sia risentito per quell'ingiuria! Tu solo sei testimonio del fiotto di sangue che mi salì alla testa, e della vivezza con cui mi si ripresentarono allora alla mente la dolce immagine della mia casetta lontana, le carezze dei miei genitori, la tenerezza dei miei fratelli...
Mi buttai in ginocchio e domandai perdono della pena che, senza volerlo, avevo recato a quella famiglia; e me ne partii supplicando la madre e le figlie di non dimenticarmi nelle loro preghiere.
La sera stessa mi stabilii in questa capanna, un povero tugurio in cui ora vivo con una vecchia che non può rendermi altro servigio che quello di farmi compagnia. La poverina non parla, è più malata di me e passa la maggior parte del tempo a letto.
Quanto a me, ricchissima nella mia povertà, lieta nelle mie tribolazioni, piena di vita nelle mie orribili infermità, vedo di ora in ora disgregarsi questo pugno di fango che mi trattiene prigioniera, sento che i legami si allentano e che il giorno della mia liberazione s'avvicina.
Il mio cantico si rianima e, guardando attraverso le sbarre della mia prigione, mi riposo. Ah, la mia prigione!
Molti giorni non posso uscire per la Comunione, perchè mi sento estremamente debole e stroncata dalla febbre nervosa che tormenta i lebbrosi. Allora, contemplando attraverso le sbarre della mia unica finestra la chiesa poco lontana e la vetrata che sta di fronte al tabernacolo, il mio spirito vola via, a rifugiarsi nel cuore del mio Salvatore. Là non dimentico, no, le mie pene, ma piuttosto le benedico insieme con la mia solitudine e il mio esilio. E come posso considerarmi sola, se resto unita a Gesù Salvatore? Come sarei un'esiliata se nessuno può togliermi la certezza della dolce patria eterna, ormai vicina?
I miei occhi ammalati si stancano spesso di guardare quella vetrata di fronte al tabernacolo; sono ormai quasi cieca. Tuttavia i miei desideri non si staccano di là, dove Gesù pensa continuamente a me e offre alla sua vittima le rose più belle e le spine della sua corona.
Spesso mi manca il nutrimento necessario; qualche volta resto digiuna fino al tardo pomeriggio, in questo clima rovente, perchè la vecchia mia compagna si reca all'ospedale o si dimentica di me. Ma che cosa è mai la fame del corpo quando l'anima si sente sazia delle consolazioni divine, o almeno delle lacrime versate per contrizione o per compassione dei dolori di Gesù Redentore?

"Vieni presto, Signore"

3 OTTOBRE. - Da molti mesi non ho scritto più nulla. La mia mano può a stento reggere la penna. E tuttavia quante cose avrei da ricordare! Angelo mio, scrivi per me le misericordie che il mio celeste Sposo mi ha usate, perchè io indegna creatura non mi stanchi mai di ringraziarlo.
Che è avvenuto di me, mio Dio, durante la mia ultima malattia? E' mai possibile. Signore, un'umiliazione come questa? E può la maldicenza accanirsi cosi crudelmente contro una creatura? Ecco l'unica cosa che ancora mancava alla tua vittima, Signore: che si pensasse e si dicesse di lei il male più turpe. Grazie, Padre mio e mio Re! Tu, che sarai e sei fin d'ora il giudice di ogni mio atto, sai che quanto mi si attribuisce è falso e non mi è mai passato neppure per la mente. Tu mi sei testimonio, e questo mi basta...

17 OTTOBRE. - Oggi, festa di S. Margherita Maria Alacoque, ho potuto fare la Comunione, e il mio amatissimo Redentore mi ha ricolmata di favori ineffabili. Ho anche compreso che la fame spaventosa delle ultime settimane, e la calunnia che causò la mia ultima febbre, mi hanno resa più cara alla Divina Maestà. Ne sia benedetto Iddio!

19 OTTOBRE - Ho incontrato le signorine, mie antiche compagne nella famiglia che mi ospitava, un tempo affezionate a me come tante sorelle. Le ho salutate, ma esse non mi hanno neppure risposto. Grazie, o mio Signore! Grazie perchè, sentendo appunto il loro disdegno, una singolare letizia ha inondato la mia anima, e mi sono come sentita immersa in un'acqua di rose... Ormai sei Tu, Signore, il mio solo bene, il mio unico amico. Lo sapevo che il tuo nobilissimo Cuore prende sempre le difese del povero e del perseguitato. Parlando dei suoi avversari politici, un grande poeta diceva: "Mi offendono; dunque sono tuo amico! ". Io ti offro, Signore, le mie Comunioni di venti giorni per queste signorine, con tutte le privazioni e i disagi che dovrò sopportare.

2 NOVEMBRE. - Oggi, trascinandomi a stento, sono andata al cimitero, e vi sono rimasta in preghiera per due ore. Quanto sarei stata contenta di restarvi per sempre! Sono tornata a casa con la speranza che per la prossima Commemorazione dei Defunti sarò anch'io fra coloro che riposano nella pace del Signore. Che felicità!

14 NOVEMBRE. - Non posso frenare le lacrime. Oh, i prodigi della carità! Vengo ora da una visita fatta, con la mia compagna, a un vecchio moribondo. Egli se ne sta quasi abbandonato in fondo al villaggio, e credo che non arriverà a sera. Mi ha raccontato in segreto questa meraviglia della carità: un Padre Salesiano per nove lunghi anni è andato ogni giorno nel suo miserabile tugurio per fasciargli le piaghe, rifargli il letto e pulire la stanza. Questo vecchio mi ha detto che quel Padre ha mostrato verso di lui una pazienza da santo, e che si è abbassato a compiere i servigi più umili. Molte volte gli ha proibito di parlare di tutto questo; ma egli non è voluto partire per l'eternità senza averne rivelato il segreto a qualcuno. Per parte mia mi sento in dovere di riferirlo qui, a gloria di Dio e della Congregazione Salesiana.
Se queste mie pagine cadranno sotto altri occhi che i miei, i lettori sappiano che gli imitatori di San Pietro Claver non mancano neppure ai nostri giorni, e il mondo comprenda chi sono questi Salesiani i quali, da quel che sento, sono aborriti da certa gente come se fossero degli sfruttatori. Oh, se tutti vedessero la loro abnegazione, la loro tenerezza verso i lebbrosi, renderebbero loro giustizia, o almeno l'ingiustizia e l'empietà sarebbero ridotte al silenzio.

23 DICEMBRE. - Da otto giorni non posso più muovermi. Scrivo ora con gran fatica. Per l'ultima volta, le mie impressioni. Ormai non ho più mani nè occhi. Molto probabilmente io non uscirò più da questa mia piccola capanna, se non per il viaggio verso l'eternità...
Lasciare di scrivere? Sì, è l'ultimo sacrificio che mi resta da fare. Mi piaceva tanto! Si fermi dunque la mia penna, e lasci parlare silenziosamente il cuore. Anche se non vedo più, continuerò a guardare verso la finestra, verso la vetrata di fronte al tuo tabernacolo, o mio Signore e mia misericordia...
Taccia dunque la penna. Ma io continuerò a parlare sempre con Colui che, là nel tabernacolo, pensa a me ad ogni istante, e non si stanca di offrire alla sua vittima le sue rose e le spine della sua corona.

Vieni, o Signore; vieni presto!

                                                                                                                   LA LEBBROSA

 

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